Divieto di vigilanza passiva senza Decreto Prefettizio

VIGILANZA PASSIVA: DIVIETO

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Di seguito un’importante sentenza della Corte di Cassazione concernente il divieto di vigilanza anche passiva, senza Decreto Prefettizio.

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Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 03-12-2010) 20-01-2011, n. 1821

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana – Presidente –
Dott. PETTI Ciro – Consigliere –
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria – Consigliere –
Dott. GENTILE Mario – Consigliere –
Dott. SARNO Giulio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
Avv. Sutich Roberto, difensore di fiducia di B.A., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 3.2.2010 del Tribunale di Genova, con la quale venne condannato alla pena di Euro 150,00 di ammenda, quale colpevole del reato di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 134 e 17;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. D’ANGELO Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore dell’imputato, Avv. Sutich Roberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Genova ha affermato la colpevolezza di B.A. in ordine al reato di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, artt. 134 e 17 a lui ascritto perchè, nella qualità di membro del C.d.A. e di responsabile della Coopservice S. Coop. p. A., adibiva a servizi di vigilanza e custodia di beni aziendali altrui il dipendente L.L., persona sprovvista della licenza prefettizia di guardia particolare giurata.
Il giudice di merito ha accertato in punto di fatto che l’imputato, nella qualità precisata, aveva adibito il L. ad attività di vigilanza presso il magazzino Ikea di (OMISSIS).
In particolare i compiti demandati al L. consistevano nell’inserimento e disinserimento degli allarmi, avvalendosi all’uopo di appositi codici; nel tenere sotto controllo vari monitor da una postazione collegata ad allarmi antincendio ed anti-intrusione; nel controllare le entrate e le uscite dei dipendenti per accertare, al termine della giornata lavorativa, che nessuno fosse rimasto dentro il deposito o fuori entro il perimetro della recinzione.
La sentenza ha affermato che le mansioni attribuite al L. rientrano tra le attività di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari ed immobiliari per il cui espletamento R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 134 (T.U.L.P.S.) prescrive la licenza prefettizia.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 134.
Si deduce, in estrema sintesi, che i compiti di mera vigilanza passiva, così come accertato nel caso in esame, non rientrano nell’attività tipica delle guardie particolari giurate, per le quali occorre la licenza prefettizia, essendo assimilabili a quelle proprie di mero portierato.
L’affidamento di compiti di vigilanza passiva a soggetti non muniti della apposita licenza costituisce espressione della discrezionalità degli enti o soggetti privati nella scelta degli strumenti da impiegare per la tutela dei propri beni caratterizzati da maggiore o minore incisività. L’espletamento dei compiti di custodia e vigilanza per i quali occorre la licenza prefettizia implica invece l’esercizio di poteri di intervento diretto per la prevenzione o repressione delle aggressioni delle proprietà mobiliari o immobiliari altrui.
In punto di fatto si precisa che nel corso della costruzione del magazzino Ikea in cui operava il L. i compiti di vigilanza erano stati espletati da guardie giurate.
Successivamente al completamento della struttura e degli impianti di sicurezza la stessa Ikea aveva chiesto che le guardie giurate venissero sostituite con O.T.S..
Il ricorso non è fondato.
A parte un precedente risalente nel tempo (sez. 1, 199400782, D’Acquisto, RV 196143), l’indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte è assolutamente consolidato nell’affermare che ogni forma di attività imprenditoriale di vigilanza e custodia di beni per conto terzi esige la licenza del prefetto, indipendentemente dalle modalità operative con le quali viene espletata, (sez. 1, 28.4.1997 n. 3032, Montelli, RV 207684; sez. 50 2.3.1998 n. 1274, Mennuni, RV 210253; sez. 1, 12.1.2000 n. 191, Schinco, RV 215365; sez. 3, 17.10.2002 n. 42204, Montelli, RV 223600; sez. 1, 6.11.2008 n. 47742, Bellei, RV 242745; sez. 3, 16.12.2009 n. 1605 del 2010, Prowidenti, RV 245868).
In particolare è stato precisato, in relazione a fattispecie del tutto analoga a quella in esame, che “Integra la contravvenzione prevista dall’art. 140 del cit. T.U. delle leggi di P.S., l’attività, non autorizzata da apposita licenza prefettizia, di vigilanza e custodia svolta informa imprenditoriale, anche senza uso di armi e con la sola finalità di segnalare via radio alle competenti autorità eventuali aggressioni o situazioni di pericolo per le proprietà private, è soggetta alla disciplina di cui all’art. 134 del citato T.U.” (cit. sez. 3 n. 42204 del 2002, nonchè n. 1605 del 2010) La Corte non ravvisa ragioni per discostarsi dal citato indirizzo interpretativo, considerata da un lato l’ampia formulazione con la quale l’art. 134, cit. T.U.L.P.S. vieta, senza licenza del prefetto, l’attività di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari ed immobiliari, non contenendo la norma alcuna individuazione o specificazione delle modalità con le quali la vigilanza o custodia venga effettuata, e dall’altro la ratio della legge che è finalizzata a sottoporre a controllo dell’autorità prefettizia ogni tipo di attività svolta professionalmente da terzi che coincida, sia pure in parte, con quella propria degli organi di polizia.
Tale interpretazione, peraltro, trova ulteriore riscontro nel dato normativo più recente, di cui al R.D. 6 maggio 1940, n. 635, art. 256 bis introdotto dal D.P.R. 4 agosto 2008, n. 153, art. 1, comma 1, lett. g) il cui comma 1 ribadisce “Sono disciplinate dagli artt. 133 e 134 della Legge tutte le attività di vigilanza e custodia di beni mobili o immobili per la legittima autotutela dei diritti patrimoniali ad essi inerenti, che non implichino l’esercizio di pubbliche funzioni o lo svolgimento di attività che disposizioni di legge o di regolamento riservano agli organi di Polizia”.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 3 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

 

 

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Articolo aggiornato al 04 Aprile 2022

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