Dipendente malattia secondo lavoro: licenziato

DIPENDENTE MALATTIA SECONDO LAVORO: LICENZIATO

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Dipendente malattia secondo lavoro: licenziato. Legittimo il licenziamento del dipendente che in malattia svolge un secondo lavoro in nero tanto pesante da ritardare la guarigione ed il rientro al lavoro, ad affermarlo è ancora una volta la Cassazione, Sezione Lavoro con la sentenza n. 13955/15, il cui testo è sotto riportato.

Articolo a cura di Europol Investigazioni, società specializzata in business informations

DIPENDENTE MALATTIA SECONDO LAVORO: LA CASSAZIONE 13955/15

La Corte ha rigettato il ricorso di un dipendente che, in malattia, svolgeva un secondo lavoro, più precisamente l’imbianchino.

A parere dei giudici di merito, il dipendente durante il periodo di assenza per malattia, lavorando in nero come imbianchino per terzi, aveva violato i doveri di correttezza e buona fede, pregiudicando la guarigione in tempi rapidi.

Non è stato sufficiente, per il dipendente infedele, sostenere che non vi fosse alcun “contrasto” tra l’attività di imbianchino, esercitata durante il periodo di malattia, e le limitazione che avrebbe comportato l’infermità derivante, tra l’altro, da un infortunio sul lavoro.

La Corte di Cassazione, convalidando la decisione già presa dalla Corte di Appello, sottolinea come sia stata valutata correttamente la probabilità che il lavoro di imbianchino, svolto durante l’assenza per malattia, potesse compromettere l’idoneità lavorativa, considerato il fatto che il lavoro, tra l’altro lavoro in nero, su impalcature esterne ad una villetta comporta necessariamente un impegno sull’articolazione già compromessa dall’infortunio sul lavoro.

La mancata osservanza dei doveri di cura e di non ritardata guarigione gravanti sulla parte contraente tenuta ad eseguire nel migliore dei modi la prestazione lavorativa per la quale era remunerato dalla parte datoriale” rende pienamente legittimo il licenziamento.

Con l’occasione, la Corte di Cassazione richiama nuovamente anche i principi precedentemente espressi secondo cui “in caso di mancata prestazione lavorativa a causa di malattia del dipendente il comportamento di quest’ultimo va valutato in rapporto ai principi di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 C.C. che debbono presiedere all’esecuzione del contratto e che, nel rapporto di lavoro, fondano l’obbligo in capo al lavoratore subordinato di tenere, in ogni caso, una condotta che non si riveli lesiva dell’interesse del datore di lavoro all’effettiva esecuzione della prestazione lavorativa“.

Il datore di lavoro, pertanto, può legittimamente licenziare il dipendente che, durante il periodo di malattia, leda il rapporto di fiducia con l’azienda datrice, svolgendo lavori pesanti che anche solo potenzialmente potrebbero ritardare la guarigione.

Il “contrasto” tra l’attività svolta in malattia e le limitazioni tipiche dell’infermità patita va necessariamente provato e l’onere della prova spetta all’azienda datrice di lavoro.

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DIPENDENTE MALATTIA SECONDO LAVORO: I SERVIZI DI EUROPOL PER LE IMPRESE

L’Agenzia Investigativa EUROPOL, in oltre vent’anni di indagini aziendali, ha potuto raccogliere le prove del dipendente che, in infortunio con un danno alla schiena, impastava il cemento e ristrutturava la propria abitazione, ovvero del dipendente che, assente per lombosciatalgia, si allenava quotidianamente per la maratona che si sarebbe tenuta a fine mese…
Sempre più frequentemente, infatti, i datori di lavoro si rivolgono agli investigatori privati di EUROPOL investigazioni per verificare se i loro dipendenti assenti per malattia compiono o meno attività foriere di rischi sulla salute.

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Articolo aggiornato al 10 Novembre 2021

DIPENDENTE MALATTIA SECONDO LAVORO: IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA

Il testo della sentenza Cassazione Civile, Sezione Lavoro,  Numero 13955 Anno 2015:

Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BERRINO UMBERTO
Data pubblicazione: 07/07/2015

SENTENZA sul ricorso 17143-2012 proposto da:
XXX XXX c.f. XXXXXXXXXXXXXXX, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato STUDIO LEGALE XXXXXX, rappresentato e difeso dagli avvocati XXXXX, XXXXXX, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
XXXX c.f. XXXXXX, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato xxxxxxx, rappresentata e difesa dall’avvocato xxxxxxx, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 374/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/02/2012 r.g.n. 8956/2010; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/03/2015 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO; udito l’Avvocato RIZZO NUNZIO per delega verbale MAZZEI GIANCARLO; udito l’Avvocato VETROMILE SALVATORE; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Si controverte del licenziamento intimato il 19/2/2009 dalla società xxxx a xxxxx per aver svolto lavori manuali pesanti, costituiti dalla tinteggiatura delle pareti di una villetta, durante la sua assenza dal lavoro per malattia.
Con sentenza del 31/1 — 8/2/2012 la Corte d’appello di Napoli ha respinto il gravame proposto dal lavoratore avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi che gli aveva rigettato la domanda di impugnativa del licenziamento.
La Corte partenopea ha spiegato che l’espletamento di altre attività lavorative da parte del xxx durante lo stato di malattia era da ritenere idonea a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione, perché indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione. Ha aggiunto la Corte che i fatti oggetto di contestazione, ampiamente dimostrati, definivano un comportamento contrario agli interessi datoriali, idoneo, alla luce del disvalore ambientale che lo stesso assumeva in virtù della posizione professionale di capoturno rivestita dal ricorrente, a ledere in misura significativa il vincolo fiduciario.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso xxxx con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso la società xxxxx

Motivi della decisione

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, assumendo
che è apodittica l’affermazione secondo la quale l’attività da lui svolta durante il periodo in cui era stato assente per malattia avrebbe potuto essere idonea ad impedire o a ritardare la sua guarigione, tant’era vero che in data 2/2/2011 egli aveva ripreso normalmente servizio alle dipendenze della datrice di lavoro.
In pratica, secondo il ricorrente, era mancata la prova del contrasto, evidenziato dal giudice di merito, tra l’attività svolta nel periodo di assenza e le limitazioni tipiche dell’infermità patita; inoltre, la Corte d’Appello aveva omesso di considerare che la stessa datrice di lavoro aveva affermato nella lettera di contestazione disciplinare che il dipendente appariva aver recuperato la piena funzionalità nell’uso degli arti e riacquisito l’integrità fisica. Né poteva sottacersi che nella lettera di giustificazione egli aveva spiegato di svolgere da tempo una seconda attività per consentire ai figli di svolgere gli studi superiori e da parte sua la datrice di lavoro non gli aveva mai contestato l’esistenza di ragioni ostative alla ripresa del lavoro.
In definitiva, secondo l’assunto difensivo, i giudici di merito avevano esaminato la legittimità del licenziamento senza aver adeguatamente motivato sui fatti idonei a provare, sia pure presuntivamente, che in base ad una valutazione ex ante non poteva ritenersi sussistente un contrasto fra l’attività svolta e l’obbligo di conseguire la piena guarigione.
Il motivo è infondato.
Invero, con motivazione adeguata ed immune da rilievi di carattere logico-giuridico che sfuggono al giudizio di legittimità, la Corte d’appello di Napoli ha
correttamente valutato la probabilità di compromissione della idoneità lavorativa del xxxx che gli derivava dallo svolgimento, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia, di attività foriera di rischi sulla salute psico-fisica e sulle articolazioni, quale quella eseguita su impalcature esterne ad un edificio comportante un notevole impegno dell’articolazione del ginocchio già interessata da infortunio sul lavoro, come tale espressione di una mancata osservanza dei doveri di cura e di non ritardata guarigione gravanti sulla parte contraente tenuta ad eseguire nel migliore dei modi la prestazione lavorativa per la quale era remunerato dalla parte datoriale.
Quindi, la Corte territoriale si è attenuta ai principi che in tale materia questa Corte ha avuto modo di indicare allorquando ha spiegato che in caso di mancata prestazione lavorativa a causa di malattia del dipendente il comportamento di quest’ultimo va valutato in rapporto ai principi di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 cod. civ. che debbono presiedere all’esecuzione del contratto e che, nel rapporto di lavoro, fondano l’obbligo in capo al lavoratore subordinato di tenere, in ogni caso, una condotta che non si riveli lesiva dell’interesse del datore di lavoro all’effettiva esecuzione della prestazione lavorativa. (v. in tal senso Cass. sez. lav. n.1699 del 25/1/2011).
Si è, altresì, statuito (Cass. sez. lav. n. 9474 del 21/4/2009) che “l’espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell’adempimento dell’obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l’attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell’inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l’espletamento di un’attività ludica o lavorativa.”
2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., per omessa valutazione della proporzionalità del provvedimento di licenziamento, in quanto si assume che non era stata considerata la mancanza di precedenti disciplinari, né la lunga durata del rapporto intercorso tra le parti senza alcuna disfunzione, né, infine, la circostanza dello svolgimento dell’attività lavorativa, oggetto di contestazione, in prossimità della guarigione.
Il motivo è infondato.
Invero, seguendo un ragionamento contraddistinto da congrua motivazione esente da rilievi di legittimità, la Corte di merito ha adeguatamente valutato la
proporzionalità della massima sanzione irrogata nel momento in cui ha posto in risalto il comportamento del lavoratore contrario agli interessi datoriali, per le ragioni sopra illustrate, come tale idoneo, anche in considerazione del disvalore ambientale riconducibile alla posizione professionale di capo-turno rivestita dal ricorrente, a ledere in misura significativa il vincolo fiduciario.
D’altronde, “il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria”
(Cass. sez. lav. n. 8293 del 25/5/2012).
Inoltre, occorre considerare che “in caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di
un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro” (Cass. sez. lav. n. 17514 del 26/7/2010)
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Così deciso in Roma il 10 marzo 2015
Il Consigliere estensore

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