Pignoramento, quota di proprietà del debitore

PIGNORAMENTO QUOTA DI PROPRIETA’ DEL DEBITORE

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 dicembre 2014 – 3 aprile 2015, n. 6833

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Ai fini di un’esecuzione forzata, è possibile integrare l’atto di pignoramento con la nota di trascrizione dello stesso, se non vi era stata indicata la quota di proprietà del debitore, a patto che la nota di trascrizione riporti chiaramente ed inequivocabilmente di quanto è proprietario il debitore. Importante dunque è non solo usufruire di strumenti di indagine patrimoniale adeguati, per effettuare validamente il pignoramento, ma anche utilizzare con la dovuta tempestività Studi Legali esperti in esecuzioni forzate.

L’atto di pignoramento, pertanto, non è nullo, nel caso in cui il creditore ometta per dimenticanza di espressamente indicare la quota del bene da sottoporre ad esecuzione forzata e di proprietà del debitore, a condizione che la misura della quota appartenente all’esecutato possa essere ricavata dalla nota di trascrizione in maniera inequivocabile. Pertanto se la reciproca interazione tra atto di pignoramento e nota di trascrizione dello stesso permette di eliminare ogni dubbio circa l’esatta identificazione del bene (o meglio della porzione di bene) sottoposto ad esecuzione forzata, non è possibile per il debitore chiedere la nullità dell’atto di pignoramento con opposizione.

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A chiarire la validità o la nullità dell’atto di pignoramento, nel caso in cui il bene sottoposto ad esecuzione forzata sia solo in parte di proprietà dell’esecutato, e il creditore abbia dimenticato di specificare la quota nell’atto stesso, è la Corte di Cassazione con la Sentenza 6833/2014, della quale vi riportiamo il testo integrale:

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 dicembre 2014 – 3 aprile 2015, n. 6833
Presidente Salmè – Relatore De Stefano

Svolgimento del processo

1. – L’espropriazione immobiliare iscr. al n. 178/04 r.g.e. del tribunale di Santa Maria Capua Vetere – intentata da D.L.P. e D.N.C. in base a sentenza di condanna, emessa nei confronti di M.A. e confermata in appello, al pagamento di Euro 18.850,68 (oltre interessi legali dal 9.1.92) e di successivo precetto di pagamento di Euro 41.411,89 – fu dal g.e. dichiarata improseguibile, con ordinanza dep. il 29.1.09, per due ragioni: perché la debitrice era titolare anche (oltre alla metà di indiscussa sua proprietà) di una quota di 3/18 del bene staggito, pervenutale per successione mortis causa, riguardo alla quale non v’era prova di accettazione dell’eredità; e perché nell’atto di pignoramento non era indicata alcuna quota della comproprietà della debitrice, nonostante essa fosse indicata nella nota di trascrizione in 12/18.
Seguì, anche nei confronti della interventrice Equitalia Polis spa, opposizione agli atti esecutivi dispiegata – con ricorso dep. il 26.3.09 – dai creditori: ma questa, costituitasi l’esecutata e neppure in tale sede contestata la propria qualità di erede, fu rigettata dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza n. 2532 del 9.9.11.
Per la cassazione di quest’ultima, ricorrono oggi, affidandosi ad un complesso motivo su più profili, D.L.P. e D.N.C. , mentre delle intimate resiste con controricorso la sola M. : la quale, per la pubblica udienza del 15.12.14, deposita altresì memoria, in uno a documentazione sul dispiegamento di un giudizio da parte dei ricorrenti nei suoi confronti successivamente alla pronunzia della gravata sentenza.

Motivi della decisione

2. – La controversia ha ad oggetto almeno due questioni:
– la ritualità di un atto di pignoramento immobiliare privo – a differenza della nota della sua trascrizione – dell’indicazione dell’esatta quota di proprietà, in capo al debitore, del bene staggito;
– le modalità di aggressione esecutiva di un bene, appartenente già in quota al debitore, una ulteriore quota del quale è pervenuto a lui iure hereditatis.
2.1. Le rationes decidendi della gravata sentenza di rigetto della dispiegata opposizione avverso l’ordinanza di improseguibilità della procedura esecutiva immobiliare sono almeno due:
– sussistenza di un vizio del pignoramento per carenza di indicazione della quota pignorata, vizio non sanabile con la nota di trascrizione, a sua volta nulla per difformità dai titolo trascritto e perché la quota effettivamente di pertinenza della debitrice (9/18) non era neppure quella indicata nella nota (12/18);
– mancanza di prova di valida accettazione di eredità, da parte dell’esecutata, della quota di 3/12 del bene, a lei pervenuta per successione ereditaria legittima del marito.
2.2. I ricorrenti formulano un unitario motivo, dalla seguente rubrica: “Violazione di legge. Omessa e/o erronea interpretazione delle norme. Omessa e/o erronea applicazione della legge ai fatti di causa, dedotti e provati. Omessa e/o erronea interpretazione dei fatti, del comportamento delle parti e dei documenti allegati. Violazione di legge per erroneità, carenza, contraddittorietà ed illogicità della pronuncia di rigetto dell’opposizione”.
Nonostante il carattere unitario della formulazione del motivo, tuttavia, essi contestano partitamente – e quindi in modo complessivamente idoneo – le rationes decidendi suddette, evidenziando, poi, con separate titolazioni almeno tre ordini di argomentazioni:
– che “il giudice di prime cure ha rigettato la proposta opposizione ritenendo nulla la trascrizione, ex art. 2665 c.c., per difformità dei dati tra l’atto di pignoramento e la nota di trascrizione”;
– che “il giudice ha considerato nullo l’atto di pignoramento poiché in esso non era stata indicata l’esatta quota di comproprietà oggetto di pignoramento, non bastando che questa specificazione fosse stata effettuata nella nota di trascrizione;
– che “il giudice ha rigettato l’opposizione ritenendo non provata la qualità di proprietaria di soli 3/18 rispetto ai 12/18 pignorati, benché sui 9/18 non sorgesse alcun dubbio di titolarità in capo alla debitrice, per essere il bene stato acquistato in regime di comunione ordinaria nel 1960 dalla stessa debitrice assieme al marito, deceduto nel 1999 (rispetto al quale, per l’appunto, sarebbero stati in discussione 3/18 caduti in successione)”: pure in quel contesto dolendosi della mancata valorizzazione, ad opera del giudice dell’esecuzione prima e dell’opposizione poi, di elementi atti a concretare l’accettazione tacita ed assicurare la continuità delle trascrizioni.
2.3. Dal canto suo, la controricorrente, nel controricorso, condivide le argomentazioni della gravata sentenza:
– in punto di incertezza della titolarità, in capo alla debitrice, della qualità di proprietaria, con serio conseguente rischio di non continuità delle trascrizioni immobiliari quale effetto della prosecuzione dell’esecuzione immobiliare: e tanto per essere i beni pignorati caduti in successione ereditaria e per mancare la prova di un valido titolo di acquisto trascritto in favore dell’esecutata;
– in punto di nullità del pignoramento per mancata indicazione, nel medesimo, della quota pignorata in danno dell’esecutata, in difformità dalla nota di trascrizione, nella quale invece essa era indicata nei 12/18, con conseguente nullità della trascrizione anche ai sensi dell’art. 2665 cod. civ.; e sostenendo comunque l’erroneità della nota, essendo tre dei dodici diciottesimi ivi indicati a lei pervenuti solo per successione ereditaria, ma senza alcuna prova di accettazione dell’eredità.
2.4. La stessa controricorrente, con la memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., suffragata da documentazione, sostiene poi il venir meno dell’interesse dei ricorrenti alla pronunzia sul ricorso, dipendente dal dispiegamento – in tempo successivo alla sentenza gravata – di una actio interrogatoria volta a conseguire la fissazione di un termine all’odierna intimata per accettare l’eredità.
3. – Per l’evidente priorità logica, va esaminata dapprima la questione proposta per ultima.
3.1. In disparte i seri dubbi sulla ritualità della produzione della documentazione in uno alla memoria depositata in prossimità dell’udienza di discussione, riguardo alla quale non consta il rispetto dell’art. 372 cod. proc. civ., il dispiegamento di una mera actio interrogatoria per l’interpello dei chiamati all’eredità in ordine all’accettazione di quella del loro dante causa non rileva ai fini della complessa problematica delle modalità di aggressione esecutiva di un bene che si assume pervenuto all’esecutato iure hereditatis.
3.2. Sul punto, assai di recente (Cass. 26 maggio 2014, n. 11638) questa Corte è intervenuta in materia, concludendo che, in materia di espropriazione immobiliare, qualora sia sottoposto a pignoramento un diritto reale su un bene immobile di provenienza ereditaria e l’accettazione dell’eredità non sia stata trascritta a cura dell’erede – debitore esecutato, si prospetta questa alternativa:
– se il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell’eredità, il creditore procedente può richiedere, a sua cura e spese, la trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata od accertata giudizialmente, anche dopo la trascrizione del pignoramento, ripristinando così la continuità delle trascrizioni ai sensi e per gli effetti dell’art. 2650, co. 2, cod. civ., purché prima dell’autorizzazione alla vendita ai sensi dell’art. 569, cod. proc. civ.;
– se, invece, il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell’eredità ma questo non sia trascrivibile, perché non risulta da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, ovvero se si assume che l’acquisto della qualità di erede sia seguito ex lege ai fatti di cui agli artt. 485 o 527 cod. civ., non risultando questo acquisto dai pubblici registri, la vendita coattiva del bene pignorato ai danni del chiamato presuppone che la qualità di erede del debitore esecutato sia accertata con sentenza; anche in tal caso dovendo reputarsi possibile che tanto intervenga pure dopo il pignoramento, ma prima della vendita.
3.3. Può bastare in questa sede un integrale richiamo all’ampia ed esaustiva motivazione della richiamata pronunzia di questa Corte, che il Collegio condivide in toto, per rilevare – da un lato – come l’actio interrogatoria non è – se non altro, di per sé sola – la specifica azione di accertamento dell’avvenuta accettazione, anche tacita, dell’eredità e – dall’altro lato – come gli sviluppi dell’azione ordinaria in concreto intentata dagli odierni ricorrenti e secondo le conclusioni da loro formulate possano condurre proprio, in armonia con la ricostruzione operata da Cass. 11638/14, a quell’accertamento di intervenuto subentro, senza soluzione di continuità, del chiamato nella posizione di erede e quindi nella titolarità del bene, accertamento reputato possibile appunto fino a prima della vendita.
3.4. Pertanto, va escluso che i creditori, con quella, abbiano visto venir meno il loro interesse alla pronunzia avverso la declaratoria di chiusura anticipata del processo esecutivo, adottata – per quanto si verrà a rilevare – in difformità dai principi espressi dalla richiamata Cass. 11638/14; e va escluso pure che essi siano incorsi in condotte processuali incompatibili con il dispiegamento del presente ricorso: avendo essi comunque dispiegato attività volta, se non altro nelle loro intenzioni e impregiudicato l’esame dell’idoneità degli effetti con quella conseguibili e della loro tempestività rispetto all’eventuale riattivazione della procedura, a superare la situazione di incertezza sull’avvenuta accettazione dell’eredità, cioè a proseguire proprio nell’esecuzione, in conformità con le indicazioni di questa Corte.
4. – Va ora esaminata la prima questione, relativa alla nullità del pignoramento per mancata indicazione, in esso, dell’esatta quota pignorata: al riguardo dovendo escludersi che la stessa potesse, nella concreta fattispecie in esame, essere dichiarata.
4.1. È ben vero che anche di recente questa Corte (Cass. 26 agosto 2014, n. 18249) ha ribadito come l’atto di pignoramento sia invalido se dal suo complesso, nonostante non rilevi più ex se l’indicazione di tre confini, non si escluda l’assoluta incertezza sul bene che ne è oggetto (cfr., tra le più recenti, Cass., ord. 31 gennaio 2014, n. 2110).
È infatti elemento essenziale per la stessa funzionalità del processo esecutivo che il bene sia compiutamente e con certezza identificato fin dal pignoramento, al fine di garantirne la successiva circolazione – che si fonda sulla sua descrizione come operata appunto con l’atto iniziale della procedura espropriativa – come connaturata alle finalità del processo esecutivo (sulla problematica v., di recente, le generali considerazioni riassuntive di Cass. 8 febbraio 2013, n. 3075, ovvero di Cass. 7 novembre 2013, n. 25055; sul ruolo viepiù rilevante del dato identificativo catastale, v. pure Cass. 21 maggio 2014, n. 11272).
Ed è anche vero che il creditore non può pretendere di rimettere a successivi interventi, perfino ufficiosi, la specificazione dell’oggetto dell’azione esecutiva, specificazione che incombeva invece esclusivamente a lui, a cui favore era concessa la facoltà di aggredire l’altrui patrimonio, fin dal momento in cui si era indotto ad avvalersene.
Tanto si risolverebbe nella sollecitazione di veri e propri poteri esplorativi, sempre vietati – se non altro nell’attuale assetto ordinamentale, per essere invece ammessi solamente nella fase di individuazione dell’oggetto delle future espropriazioni, ai sensi dei commi quarto e seguenti dell’art. 492 cod. proc. civ. e, ora dell’art. 492-bis cod.proc. civ. (e degli artt. 155-bis e seguenti disp. att. cod. proc. civ., tutti come introdotti dal d.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv. con modif. in I. 10 novembre 2014, n. 162) – nel processo esecutivo già iniziato.
4.2. E tuttavia l’assoluta peculiarità del caso di specie sta in ciò, che la sicuramente sussistente lacuna del pignoramento, riferita all’esatta quota di pertinenza della debitrice esecutata, è stata colmata non già con una successiva distinta attività – e tanto meno ufficiosa – ma con quella, pressoché logicamente contestuale, della trascrizione della relativa nota, ove il vizio era emendato.
Per il principio di conservazione degli atti del processo (che può forse oggi ricondursi a quello più generale di economia processuale e, secondo attenta tesi ermeneutica, alla regola del giusto processo in tempi ragionevoli di cui al nuovo art. 111 Cost.), di certo applicabile anche a quello esecutivo, non può allora condividersi, perché basata su di una considerazione atomistica degli elementi del processo, se non eccessivamente rigorosa o formalistica, la conclusione del giudice del merito sull’irrilevanza della completezza della nota di trascrizione rispetto al viziato atto che ne era l’oggetto, soprattutto se si considera l’assolvimento delle rispettive funzioni in dipendenza della loro considerazione come un atto complesso o comunque quali atti tra loro interattivi e in grado di influire in modo reciproco o bidirezionale.
4.3. Non è questa la sede per affrontare ex professo la questione, assai dibattuta tra gli interpreti, sul ruolo della nota di trascrizione nella struttura del pignoramento immobiliare: basti qui ricordare che essa ha la fondamentale funzione di rendere opponibili ai terzi, a tutela della funzionalità dell’intera procedura e dell’efficacia dei suoi atti anche a tutela dell’aggiudicatario, i dati contenuti nel pignoramento.
Se tanto è vero, però, la nullità dell’atto di pignoramento, pure sussistente e dovuta alla carenza di indicazione della quota di spettanza del debitore comproprietario del bene staggito, non può non dirsi sanata se, come è accaduto nella specie:
– il debitore ha avuto piena contezza della stessa estensione del pignoramento, tanto da difendersi nel merito dalla tesi della aggredibilità del bene in ragione di 12/18;
– ogni eventuale terzo non è stato, nemmeno potenzialmente, indotto in errore su quale quota reclamassero di vendere i creditori procedenti, avendola la nota di trascrizione chiaramente indicata appunto in 12/18.
4.4. In altre parole, sia l’atto di pignoramento che la sua nota di trascrizione, considerati in modo unitario o complesso in ragione della complementarietà dei pur diversi destinatari e funzioni, hanno adempiuto queste ultime, sia pure reciprocamente integrandosi o interagendo.
Va così esclusa, applicando il generalissimo principio di cui al terzo comma dell’art. 156 cod. proc. civ., la pronunzia della nullità – pur in origine sussistente – dell’atto di pignoramento; e tanto in applicazione del seguente principio di diritto: in caso di pignoramento di beni appartenenti solo in quota all’esecutato, ove nel relativo atto non sia indicata la misura di quest’ultima, ma essa si ricavi con chiarezza dalla nota di trascrizione, la reciproca interazione tra i due atti consente di escludere ogni incertezza sull’identificazione del diritto assoggettato ad esecuzione; sicché non può essere dichiarata la nullità dell’atto di pignoramento in dipendenza della sua pure sussistente lacuna originaria.
5. – Rimangono allora da scrutinare le questioni relative alla ritualità della soggezione ad espropriazione di una quota – pari, nella specie, ai 3/18, quale quota dell’originario 50% facente capo al comproprietario poi defunto – del bene che potrebbe essere pervenuta alla debitrice per successione ereditaria, in relazione agli effetti di tanto su di una procedura esecutiva avente ad oggetto comunque un’ulteriore quota (della metà, cioè di 9/18) di indiscussa appartenenza alla debitrice.
5.1. La gravata sentenza esclude che, in difetto di valida trascrizione dell’acquisto mortis causa, possa essere autorizzata la vendita del bene che ne sarebbe oggetto.
Invero, essa parte da un presupposto corretto: essa (icasticamente premettendo, anche con enfasi grafica, che “per espropriare occorre indubbiamente che il bene sia di proprietà dell’esecutato”) ha bene applicato il principio di diritto per il quale spetta al giudice dell’esecuzione verificare, d’ufficio, la titolarità, in capo al debitore esecutato, del diritto reale pignorato sul bene immobile, mediante l’esame della documentazione depositata dal creditore procedente ovvero integrata per ordine dello stesso giudice ai sensi dell’art. 567 cod. proc. civ., dalla quale deve risultare la trascrizione di un titolo di acquisto in suo favore (Cass. 11638/14, cit.).
Le conclusioni in punto di improseguibilità od arresto definitivo o chiusura anticipata della vendita non possono però ritenersi corrette, alla stregua di quanto argomentato dalla sopravvenuta e qui già ricordata Cass. 26 maggio 2014, n. 11638.
5.2. Le conclusioni di quest’ultima pronunzia sono già state rammentate sopra, al punto 3.2: ed a sostegno e condivisione di quelle va reputato idoneo e sufficiente l’integrale richiamo alla relativa ampia ed esaustiva motivazione ivi sviluppata.
In entrambi i casi alternativi individuati (facoltà, per il creditore, di chiedere la trascrizione di uno degli atti che comportano accettazione tacita dell’eredità, ove esistenti; al contrario, facoltà, per il creditore, di agire per fare accertare l’intervenuta accettazione), va escluso però che possa dichiararsi improseguibile – oltretutto definitivamente, con il suo arresto o chiusura anticipati ed irreversibili – una procedura esecutiva immobiliare prima che la stessa pervenga alla vendita, dovendo solo in questo momento verificarsi se il creditore abbia o meno colmato le lacune di trascrizione evidenziate come ostative all’utile sviluppo di quella.
Tale conclusione – dalla quale non si vede motivo di discostarsi – va applicata anche alla fattispecie, sicché non correttamente la gravata sentenza ha ritenuto bene pronunziata l’improseguibilità della procedura prima della vendita per persistente carenza di prova sull’accettazione anche solo tacita di una quota del bene staggito da parte dell’esecutato.
6. – Peraltro, neppure è corretta la declaratoria di improseguibilità dell’intera procedura, attesi, ancora una volta, i caratteri assai peculiari della fattispecie.
6.1. Invero, è stato da questa Corte affermato il principio in base al quale non è invalido il pignoramento che colpisca, in luogo del diritto di cui effettivamente è titolare il debitore esecutato, un diritto di contenuto od estensione maggiore, producendosi in tal caso il solo effetto di ridurre o limitare il pignoramento stesso, ipso iure e del tutto idoneamente, al primo diritto (Cass. 14 marzo 2013, n. 6576, relativa al caso di pignoramento della piena proprietà in luogo della sola spettante proprietà superficiaria).
È ben vero, infatti, che l’oggettiva non titolarità in capo al debitore non potrebbe mai utilmente consentire l’assoggettamento a procedura esecutiva di quella porzione di diritto che al debitore non faccia capo; e tuttavia non si ha ragione di negare l’efficacia propria del pignoramento almeno per il minor diritto a lui spettante, alla duplice condizione:
– che con quell’atto di impulso del processo esecutivo non si tenda a dar luogo a diritti prima ontologicamente inesistenti, ovvero a costituirne di nuovi, sul bene oggetto di pignoramento;
– che il creditore non annetta espressamente carattere di inscindibilità al diritto da lui reso oggetto di pignoramento e quindi di indispensabilità alla soggezione alla procedura proprio di quello come da lui erroneamente individuato, tanto da insistere esclusivamente per la vendita di quest’ultimo e non di altro o minore.
In altri termini, il pignoramento c.d. in eccesso vitiatur sed non vitiat, perché è sufficiente, anche in questo caso per il principio di conservazione degli atti giuridici e soprattutto di quelli processuali, già richiamato, limitarne l’estensione e gli effetti al diritto, minore di quello ivi descritto, del quale sia effettivamente titolare il debitore.
6.2. Poiché nella specie i creditori sono ben lungi dall’insistere nel porre in vendita i 12/18 del bene, non solo prefigurando la possibilità di rinunziare alla quota di 3/18 per la quale tuttora mancherebbe prova di accettazione della relativa eredità, ma anche potendo – stando ai principi affermati sopra al paragrafo 5 – colmare tale lacuna con un’idonea attività, la circostanza che il pignoramento abbia colpito una quota del bene indiviso diversa, perché maggiore, da quella di cui risulti sicuro titolare il debitore staggito non può comportare il travolgimento dell’intera procedura, ma, a tutto concedere, di essa solo per la quota riguardo alla quale manca la prova della titolarità in capo all’esecutato.
6.3. Il motivo di ricorso è fondato quindi anche sotto questo profilo, in applicazione del seguente principio di diritto: poiché spetta al giudice dell’esecuzione verificare, d’ufficio ma fino al momento in cui potrebbe essere disposta la vendita, la titolarità, in capo al debitore esecutato, del diritto reale pignorato sul bene immobile, mediante l’esame della documentazione depositata dal creditore procedente ovvero integrata per ordine dello stesso giudice ai sensi dell’art. 567 cod. proc. civ., dalla quale deve risultare la trascrizione di un titolo di acquisto in suo favore, non è corretto estendere al minor diritto effettivamente facente capo al debitore gli effetti dell’eventuale mancanza di verifica della titolarità su di altra quota od estensione del medesimo diritto prospettata nel pignoramento, ove con questo non si possa dar luogo alla costituzione di nuovi diritti sul bene oggetto di pignoramento (e sempre che il creditore non annetta espressamente carattere di inscindibilità al diritto da lui reso oggetto di pignoramento e quindi di indispensabilità alla soggezione alla procedura proprio di quello come da lui erroneamente individuato, tanto da insistere esclusivamente per la vendita di quest’ultimo e non di altro o minore), dovendo la procedura esecutiva limitarsi al diritto od alla sua quota, minore rispetto a quella pignorata, di cui sia effettivamente titolare il debitore.
7. – Il ricorso è pertanto accolto, con cassazione della gravata sentenza che ha respinto l’opposizione all’ordinanza dichiarativa dell’improseguibilità della procedura esecutiva iscr. al n. 178/04 r.g.e. del tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Poiché non sono necessari altri accertamenti di fatto, può decidersi nel merito, con definitivo accoglimento dell’opposizione ed annullamento dell’ordinanza di improseguibilità.
Poiché l’opposizione agli atti esecutivi ha – com’è indiscusso – natura di giudizio meramente rescindente, va rimessa al giudice dell’esecuzione in sede esecutiva, validamente riassunta, la valutazione della sussistenza o meno, al momento in cui sarà disposta la vendita, degli elementi a valida comprova dell’accettazione dell’eredità, da parte della debitrice esecutata, quanto alla quota di 3/18 degli immobili pignorati, con ogni successiva determinazione, non esclusa la limitazione della pronunzia di chiusura anticipata alla sola quota, rispetto al totale pignorato di 12/18, per la quale non vi fosse ancora prova valida di titolarità in capo alla debitrice o non fosse stata spontaneamente prodotta rinunzia da parte dei creditori procedenti.
Tuttavia, quanto alle spese di lite dell’intero giudizio, l’assoluta novità della questione in rapporto alla singolare peculiarità vicenda – nullità del pignoramento ed interazione con la nota di trascrizione, modalità di aggressione esecutiva di beni pervenuti al debitore iure hereditatis, titolarità del debitore su almeno altra e consistente quota dell’immobile – ed alla sopravvenienza di giurisprudenza di legittimità in termini costituisce un giusto motivo di integrale compensazione, anche con riferimento al giudizio di questa Corte regolatrice.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la gravata sentenza; decidendo nel merito, accoglie l’opposizione dispiegata dai creditori procedenti avverso l’ordinanza con cui il g.e. del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha dichiarato improseguibile la procedura esecutiva n. 178/04 r.g.e. e, per l’effetto, la annulla; compensa tra tutte le parti le spese di lite, comprese quelle del giudizio di legittimità.

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