Spionaggio industriale: combatterlo con le indagini di Europol

SPIONAGGIO INDUSTRIALE: COMBATTERLO CON LE INDAGINI DI EUROPOL

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L’Agenzia Investigativa EUROPOL combatte il reato di spionaggio industriale

Quello dello spionaggio industriale è un fenomeno in costante crescita, e che oggi coinvolge un po’ tutte le aziende, indipendentemente dalla loro dimensione, dal loro oggetto sociale e dalla loro ubicazione.

Agenzia Investigativa EUROPOL coadiuva le aziende, italiane ed estere, a tutelare il loro patrimonio, costituito non solo dai sistemi di produzione, i brevetti, i marchi ed i processi industriali, ma anche da, sempre più preziose, risorse umane.

Articolo a cura di Europol Investigazioni, società specializzata in business informations

SPIONAGGIO INDUSTRIALE: GLI STRUMENTI DI EUROPOL INVESTIGAZIONI A FAVORE DELLE AZIENDE

L’Agenzia Investigativa EUROPOL offre attraverso un’intensa attività di intelligence, eventuali bonifiche ambientali, o con l’ausilio di strumenti di videosorveglianza ed il potenziamento di tutti gli apparati di sicurezza informatici, investigazioni aziendali mirate al controspionaggio industriale.

Il dilagare dello spionaggio industriale, da esperienza professionale, troverebbe terreno facile in tutte quelle aziende che effettuano poca, per non dire nulla, prevenzione.

Statisticamente, l’Agenzia Investigativa EUROPOL rileva che gli strumenti più utilizzati per lo spionaggio, se si esclude il discorso del personale collaboratore, dipendente e/o socio infedele (fenomeno comunque molto diffuso), sono anche volgarissime microspie, intercettazioni telefoniche attraverso software spia installati prevalentemente in accessori mobili (celllulare, tablet, portatile…), videocamere occultate, anche all’interno dell’auto aziendale, atte a riprese audio/video, nonché veri e propri attacchi informatici ai sistemi hardware e software aziendali.

Il fenomeno del così detto spionaggio industriale è sempre più dilagante e non riguarda solo il territorio nazionale, ovviamente, tanto che l’attuale Ministro dell’Interno tedesco sostiene che lo spionaggio industriale arrecherebbe un danno annuale all’economia tedesca stimato in circa 50 miliardi di euro all’anno.

La crisi economica ha inoltre, verosimilmente, influito nell’impennata del dilagarsi del reato di spionaggio industriale, rendendo le risorse umane aziendali più vulnerabili e più propense ad “attività infedeli” e i competitor più attratti dalle altrui risorse disponibili in termini di idee e know how, marchi e brevetti.

Europol investigazioni mette a disposizione delle aziende che desiderano combattere fenomeni di fuga di notizie e di spionaggio industriale all’interno delle loro aziende, i più moderni sistemi investigativi e personale altamente specializzato. Non permettere la fuga di notizie dalla tua azienda, rivolgiti ad Europol Investigazioni per contrastare lo spionaggio industriale all’interno della tua azienda!

SEGRETO INDUSTRIALE E SPIONAGGIO: I SOGGETTI OBBLIGATI ALLA RISERVATEZZA

La norma vincola al divieto di divulgazione e/o utilizzazione del segreto industriale tutti coloro che lo abbiano conosciuto in ragione del loro stato o ufficio o professione o arte, secondo una locuzione identica a quella già utilizzata dal legislatore per la definizione dei soggetti del delitto di cui all’art. 622 c.p., relativo al segreto professionale.

Da ciò la dottrina prevalente ha dedotto il perfetto parallelismo dei possibili soggetti attivi dei due delitti, concludendo pianamente che il legislatore ha inteso fare riferimento ad ogni attività di lavoro o di prestazione di servizi che sia remunerata e continua, anche se non esclusiva per il soggetto e anche se svolta senza vincolo di subordinazione, di natura sia manuale che intellettuale: comune denominatore è la professionalità (non occasionalità) del rapporto da cui discende l’acquisizione della notizia destinata a rimanere segreta.

Il successivo assunto secondo cui l’art. 623 c.p. non circoscrive il vincolo del segreto al periodo di sussistenza del rapporto di lavoro si fonda poi soprattutto su valutazioni di opportunità, legate alla considerazione per cui il solo fatto della estinzione del rapporto non fa venir meno i rapporti di confidenza che hanno permesso al dipendente di conoscere il segreto, e che — del resto — in caso contrario la funzione della norma sarebbe facilmente frustrabile con la semplice interruzione del rapporto di lavoro per poter poi tranquillamente sfruttare i segreti acquisiti.

I contenuti degli obblighi di segretezza imposti dalle due norme (artt. 623 c.p. e 2105 c.c.) differiscono profondamente fra loro, sol che si consideri che la norma civilistica inibisce la divulgazione di qualsiasi notizia attinente all’organizzazione aziendale ed ha perciò uno spettro di operatività ben più ampio della norma penale: trattasi perciò di due logiche di tutela ben distinte e reciprocamente autonome. Quella penale, in particolare, è del tutto indipendente dalla durata del rapporto di lavoro, protraendosi l’obbligo al segreto oltre la sua cessazione.

Accedendo alla tesi estensiva, risulta problematica l’ipotesi in cui autore della violazione del segreto industriale sia l’amministratore o direttore generale o sindaco o liquidatore di società, in quanto presuppone la definizione del rapporto che intercorre fra l’art. 623 c.p. e l’art. 2622 c.c. («Divulgazione di notizie sociali riservate»), norma che punisce appunto amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori che «senza giustificato motivo … rivelino o utilizzino a proprio o altrui profitto notizie avute a causa del loro ufficio… se dal fatto può derivare pregiudizio alla società».

Il problema consiste in ciò: le due norme sono fra loro in rapporto di specialità reciproca, essendo l’una — quella societaria — speciale quanto ai soggetti attivi e ai requisiti di antigiuridicità speciale e possibilità di pregiudizio per l’ente, mentre d’altro canto l’altra — quella penale — contiene una più puntuale definizione dell’oggetto materiale del reato, richiedendo che si tratti di notizie destinate a rimanere segrete e relative a scoperte o invenzioni scientifiche o applicazioni industriali.

A parere della più tradizionale dottrina, infatti, ogni ipotesi di violazione di segreto industriale e di conseguente spionaggio industriale, perpetrata dai particolari soggetti menzionati nell’art. 2622 c.c. rimarrebbe comunque sanzionabile ai sensi dell’art. 623 c.p., norma da considerarsi lex specialis proprio a cagione della maggiore specificità del suo oggetto e della maggiore gravità delle sanzioni.

Al contrario, altra autorevole dottrina sostiene l’applicabilità dell’art. 2622 c.c. in ogni ipotesi di violazione dell’obbligo al segreto da parte dei particolari soggetti attivi menzionati dalla norma sulla base di argomentazioni di ordine logico e sistematico per la verità convincenti: prima fra tutte la considerazione che se la norma civilistica non fosse considerata lex specialis non sarebbe mai applicabile, poiché le condotte ivi previste rientrerebbero sempre e comunque o nell’art. 623 o nell’art. 622 c.p. (non potendosi ritenere speciale rispetto all’art. 2622 c.c. il solo art. 623 e non anche l’art. 622 c.p.), inoltre perché occorre valorizzare l’elemento specializzante del possibile pregiudizio alla società menzionato dall’art. 2622 c.c..

Infine, alla tesi estensiva è riconducibile quella dottrina che ha ritenuto che soggetti attivi del reato possono essere anche il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio limitatamente alle ipotesi di rivelazione o utilizzo di notizie appartenenti a privati acquisite nell’esercizio di una attività di controllo sulla produzione e non funzionali all’eventuale successivo dispiegarsi dei poteri di vigilanza.

Sempre a proposito dei possibili soggetti attivi del reato, mentre non è posta in dubbio la possibilità di concorso dell’extraneus nella violazione del segreto industriale — reato proprio cui presupposto è che la cognizione delle notizie sia avvenuta in costanza di uno specifico rapporto professionale —, profilo ancora discusso è invece quello inerente alla valutazione della eventuale responsabilità penale del concorrente necessario della condotta di rivelazione, ossia di colui che riceve la notizia. L’ipotesi considerata è, ovviamente, quella in cui questi ponga in essere condotte di istigazione o determinazione al reato nei confronti dell’intraneus, cioè comportamenti consistenti in un quid pluris rispetto alla mera ricezione — di per sé priva di rilievo penale per espressa previsione legislativa — e rilevanti alla stregua dei principi generali in tema di concorso (eventuale) di persone nel reato: proprio in applicazione di questi ultimi, la dottrina a tutt’oggi prevalente è orientata nel senso di ritenere la responsabilità del concorrente necessario ex artt. 110 ss. c.p., anche se si sottolineano una serie di difficoltà di ordine probatorio.

SPIONAGGIO INDUSTRIALE: LA CONDOTTA DI RIVELAZIONE O DI IMPIEGO

Rispetto alla struttura di fattispecie non ha alcun rilievo la circostanza che l’apprendimento della notizia segreta — purché connesso allo svolgimento di un rapporto di natura professionale — sia avvenuto legittimamente o illegittimamente, o addirittura per caso fortuito, purché — si precisa — sempre nella sede dell’impresa. Infatti, secondo un autorevole orientamento, nella diversa ipotesi in cui il dipendente sia venuto occasionalmente a conoscenza di un segreto aziendale fuori dalla sede dell’impresa, la divulgazione appare penalmente irrilevante, venendo a mancare la peculiare posizione di favore rispetto all’apprendimento tipica appunto del dipendente.

Stando alla scarna giurisprudenza sul punto, rientra nell’area di illecito anche l’ipotesi dell’apprendimento abusivo di notizie, cioè dell’acquisizione di informazioni diverse e ulteriori da quelle che l’agente può apprendere in ragione dell’attività di lavoro prestata.

Allineata sulle medesime posizioni è anche una parte della dottrina che ravvisa in tale situazione di spionaggio industriale comunque una manifestazione di infedeltà con sfruttamento della posizione rivestita.

Sembra perciò corretto concludere che la locuzione «cognizione per ragione» ricomprenda ogni conoscenza avvenuta a causa o in occasione dello status, ufficio, professione od arte e che la norma predispone tutela rispetto a tutte le informazioni acquisite dall’agente grazie al suo inserimento nell’organico produttivo o aziendale, quindi anche alle notizie apprese in settori non di stretta competenza, ma comunque accessibili nell’ambito dello svolgimento delle proprie mansioni.

La condotta di rivelazione è integrata in ogni ipotesi in cui l’informazione sia trasmessa al di fuori della cerchia dei soggetti che sono autorizzati a conoscerla, mentre la condotta di impiego non implica di per sé necessariamente la divulgazione, ma solo la violazione dell’esclusiva disponibilità delle notizie, essendo intuitivo che chi impiega abusivamente le informazioni ben può farlo mantenendo, a sua volta, il regime di segretezza.

La formula «impiega a proprio o altrui profitto» è stata intesa talora come indicativa di dolo specifico, benché sia prevalente l’opinione che qualifica la fattispecie come a dolo generico, o di evento materiale o infine — con soluzione intermedia — come locuzione con cui il legislatore ha voluto sottolineare che la condotta deve essere effettivamente idonea ad arrecare un vantaggio all’agente o a terzi.

Da notare, infine, che l’elemento del profitto è riferito alla sola condotta di impiego e non anche alla rivelazione, in considerazione del fatto che essa consente poi al terzo che riceve la notizia di poterla successivamente sfruttare a proprio o altrui profitto. Chiaramente poi l’esito delle indagini andrà vagliato da uno Studio Legale esperto in materia.

SPIONAGGIO INDUSTRIALE: ELEMENTO SOGGETTIVO

La dottrina è quasi unanime nel ritenere che la fattispecie richieda il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di rivelare o impiegare a proprio o altrui profitto la notizia coperta da segreto.

Rimane perciò del tutto irrilevante ogni ipotesi di rivelazione colposa, cioè dovuta a negligenza, imperizia o imprudenza.

La dottrina che incentra la ratio della fattispecie nella sanzione dell‘inosservanza dell’obbligo di fedeltà del dipendente trova ulteriore conferma delle proprie tesi appunto nel fatto che nella struttura della norma sia assente il dolo specifico di danno e quindi anche di concorrenza sleale.

Il reato di spionaggio industriale va combattuto, non perdere tempo, contatta l’Agenzia Investigativa EUROPOL per un preventivo gratuito chiamando lo +390532206836 oppure il+393405769116

 

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