TEST ANTIDROGA E LICENZIAMENTO
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Test antidroga e licenziamento. Il dipendente si droga. Posso licenziarlo? Licenziamento del lavoratore tossicodipendente, licenziamento per drug test positivo, purtroppo molti datori di lavoro si sono trovati in questa triste necessità e si sono poste le relative domande, anche in merito al licenziamento per giusta causa tossicodipendente.
Finalmente chiarezza su un punto interpretativo sempre molto problematico. Di seguito un’interessante sentenza concernente la legittimità del licenziamento di un dipendente che fa uso di droga. Finalmente lo squallore del dipendente drogato che poi pretende un posto di lavoro ed uno stipendio può finire. Il drogato deve e può essere licenziato. Europol investigazioni ha un’apposita sezione dedicata alle indagini aziendali a favore delle imprese. Come capire se un dipendente si droga? Tossicodipendenze e lavoro normativa.
Il dipendente si droga? Scoprilo e licenzialo!
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Autorità: Cassazione civile sez. lav. 26 aprile 2012 Numero: n. 6498 (leggi la sentenza cliccando qui Cassazione civile sez. lav. 6498 2012)
In ambito di test antidroga e licenziamento, va cassata la sentenza di merito la quale abbia escluso che la detenzione da parte di un dipendente di un istituto di credito di sostanze stupefacenti, del tipo marijuana ed hashish, avvenuta in piena estate, in zona di mare e durante la notte tra sabato e domenica, integri, rispetto agli standard conformi ai valori dell’ordinamento, giusta causa di licenziamento.
La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento « che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto », la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici. (Nella specie, la Corte territoriale, nel dichiarare illegittimo per difetto di proporzionalità il licenziamento di un impiegato di banca trovato in possesso di sostanze stupefacenti, aveva evidenziato trattarsi di droghe « leggere », detenute per uso personale, e non a fini di spaccio, in circostanze di tempo e luogo compatibili con l’ipotesi del consumo non abituale; la S.C., ritenendo tale motivazione inadeguata rispetto alla clausola generale di cui all’art. 2119 c.c., ha cassato la sentenza).
Quando la prova addotta sia costituita da presunzioni – le quali anche da sole possono fermare il convincimento del giudice del merito – rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell'”id quod pleremumque accidit”, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune dai vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (nella specie, la Corte ha cassato la decisione dei giudici del merito, ritenuta non adeguatamente motivata, con la quale era stata esclusa la violazione del vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore in seguito alla detenzione da parte di quest’ultimo di sostanze stupefacenti).
IL DIPENDENTE SI DROGA? INIDONEITA’ MORALE NEL PROSEGUIRE IL RAPPORTO DI LAVORO
Test antidroga e licenziamento. Il dipendente si droga? rileva anche l’“inidoneità morale” del lavoratore.
Anche condotte attinenti alla vita privata del lavoratore possono incidere sul rapporto di lavoro, quando sono così gravi da ledere la fiducia che il datore di lavoro ha nella corretta esecuzione dei successivi adempimenti del dipendente.
Test antidroga e licenziamento: è questo il risultato, da tempo consolidato, cui è pervenuta unanimemente la Cassazione in merito alla rilevanza dei cosiddetti comportamenti extra-lavorativi del prestatore di lavoro ai fini della giusta causa di licenziamento. Ma cosa si intende per condotta extralavorativa? E qual è la linea di confine tra obblighi contrattuali del lavoratore, cui questi è legato, e il suo diritto alla privacy, inviolabile anche per gli interessi datoriali? Nel tentativo di delineare questi confini, spesso particolarmente sfumati, la Suprema Corte ha cercato di individuare dei parametri, utili ai fini di una valutazione oggettiva; così, di volta in volta, sono stati presi in considerazione: il tipo di mansione richiesta dal contratto (spesso corredata di un surplus di fiducia), l’eventuale danno all’immagine o al buon nome dell’azienda (che il comportamento extra-lavorativo può arrecare alla società datrice di lavoro), o la diffusione al pubblico della notizia relativa alla (deplorevole) condotta extra-solutoria. In questa ricerca diretta a una soluzione più obiettiva possibile, la Cassazione ha sempre affermato che i lavoratori– in tali particolari circostanze – possono risultare “inidonei” alla prosecuzione del rapporto di lavoro, da un punto di vista “fisico”, “psico-fisico” e/o “professionale”, a seconda dei casi, sostanzialmente ricalcando l’opzione lessicale offerta dall’art. 8 Stat. lav., al fine di evitare qualsivoglia aggettivazione a sfondo etico. Una recente pronuncia del Tribunale di Roma, però, ha interrotto tale rigore terminologico, riscontrando, in capo a una lavoratrice licenziata per fatti extra-lavorativi, una inidoneità “morale”.
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Autore. Europol Investigazioni SRL – Titolo –Test antidroga e licenziamento-, in www.europolinvestigazioni.com
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Articolo aggiornato al 07 Settembre 2021